Il rilancio dell’occupazione passa da qui
In questo periodo di “crisi”, si sente parlare ripetutamente, da sedicenti esperti, di provvedimenti per rilanciare l’economia attraverso finanza, tasse e argomenti limitrofi. I risultati li abbiamo sotto gli occhi: la disoccupazione aumenta sempre di più e quella giovanile ha raggiunto livelli allarmanti.
A nessuno viene in mente, però, che la soluzione sia da un’altra parte. Ma dove?
Una mia studentessa di quinta Liceo Scientifico direbbe a questi tanti esperti: ogni problema ha sempre almeno una soluzione; noi non riusciamo a volte a trovarla perché non individuiamo i dati fondamentali e ci soffermiamo su quelli accessori. Continuerebbe con una strofa di una canzone di Ligabue “gli occhi fanno quel che possono niente meno e niente più…tutto quello che non vedono è perché non vuoi vederlo tu”. E poi direbbe: dobbiamo essere tanti Oersted (il fisico danese padre dell’elettromagnetismo) e dobbiamo cogliere ciò che è difficile vedere ma che è semplice e sta lì sotto i nostri occhi. Allora si chiederebbe: ma perché non sentiamo mai parlare di formazione?
Perché non si considerano i risvolti economici della formazione intesi come:
- capacità di affrontare il mercato globale;
- occupazione;
- struttura sociale (come conseguenza).
Esattamente come successe prima di Oersted, quando fisici illustri come Ampere non riuscivano neanche a ipotizzare che ci fosse un collegamento tra i fenomeni elettrici e quelli magnetici, senza così riuscire a trovare nuove leggi.
La formazione è il piedistallo necessario, indispensabile, per poter pensare di uscire da queste “crisi”. Anzi, si potrebbe dire che le “crisi” sono sempre crisi di formazione, in tutti i settori, tecnologici e non, e a tutti i livelli, dall’operativo di base al decisionale di alto livello.
La crisi è causata dalla perdita di passo rispetto all’evoluzione globale della formazione, vale a dire della competenza in tutti i settori e livelli. Il che significa immediatamente uscire dal mercato, con tutte le ovvie conseguenze economiche e politiche.
Formazione significa creazione di competenza.
Del resto, come si può pensare al mantenimento della competitività senza il progresso continuo di competenza – competenza che necessariamente risale a una formazione di qualità – a tutti i livelli e in tutti i settori?
Questa consapevolezza in Italia, se ancora c’è, è in forte declino.
La competenza si può definire come sintesi delle conoscenze e delle relative concrete abilità operative, fuse insieme dalle dimensioni di autonomia e responsabilità. Solo in questo senso competenza significa formazione.
Conoscenze e abilità operative non si fondono insieme se non grazie ad autonomia e responsabilità. Autonomia e responsabilità non compaiono magicamente al momento dell’acquisizione di un diploma o di una laurea: vanno educate fin dall’inizio degli studi.
Non dipendono dai titoli.
Tutto ciò si può sintetizzare nell’espressione “agire sapendo rigorosamente perché e come si agisce”, che significa incarnare l’agire nel proprio sapere e viceversa, dato che l’agire stesso allarga sempre il sapere se vi è una base di attenzione consapevole, ossia se il terreno è preparato.
È chiaro che un simile punto di vista – di rigorosa concretezza – rappresenta una premessa di metodo, e quindi una premessa culturale, dove però il rigore non deve essere confuso con l’astrattezza, come invece è proprio tipico di tutti i periodi di crisi.
Naturalmente un simile metodo richiede organizzazione non solo locale ma territoriale, coinvolgendo tutte le forze che di una formazione efficace hanno bisogno, dalle imprese alla stessa amministrazione (perché mai l’amministrazione dovrebbe esserne esclusa? Non ha forse bisogno anch’essa di competenza in tutti i ruoli e a tutti i livelli?).
È evidente che la formazione, così intesa, è formazione del cittadino al di là del settore specifico entro cui essa si costruisce, e ciò dipende dai fattori determinanti dell’autonomia e della responsabilità.
Da qui deriva il forte e positivo impatto sociale che ha la formazione così intesa, che, oltre a fornire alle imprese la linfa di capacità operative e organizzative, fornisce quel piedistallo – il solo – su cui è possibile progettare un futuro, e quindi anche generare occupazione.